Motto;

Sentiam Christi in vita meam

Sunday 22 April 2012

Seminario titolato  TEMI SCELTI DI SACRAMENTI DEL SERVIZIO DELLA COMUNITA’ TEMA: IL SACERDOZIO DI CRISTO
 OGUJIOFFOR Paul Ikechukwu

Introduzione:

Il tema “il Sacerdozio di Cristo” che dobbiamo sviluppare è il punto di riferimento per affrontare il tema dei sacramenti del servizio della comunità. Gesù Cristo è il Sacerdote eterno della nuova alleanza. Il tema del sacerdozio si distingue dal tema dei ministeri. Che cosa è il sacerdozio cristiano? In che modo lo si deve concepire? Quali sono i suoi aspetti più essenziali? Ecco le domande alle quali tenterò di rispondere. Chi vuole capire bene il sacerdozio cristiano deve anzitutto contemplare Cristo, perché Cristo ha completamente trasformato e rinnovato il senso del sacerdozio e, in fondo, c’è soltanto un unico sacerdote cristiano ed è Cristo stesso.[1] L’appellativo di sacerdotale viene dato facilmente sia alla preghiera di Gesù in Gv.17 che alla lettera agli Ebrei. Qualche riserva o precisazione va fatta, però, nell’uno e nell’altro caso. Il capitolo 17 del quarto vangelo è preghiera sacerdotale in quanto chi prega è il Pontefice della nuova alleanza, e prega con atteggiamento e con accenti che possiamo è l’unita e la santificazione degli    Apostoli e di quanti crederanno per la loro predicazione. In effetti i temi del sacerdozio e del sacrificio, benché siano preannunciati fino dalle prime righe della lettera agli Ebrei (1,3) o occupino la parte centrale di essa (4,14-10,18) e vengano ripresi in quella sezione cui va riconosciuto carattere prevalentemente pratico, entrano come elementi principalissimi in un’orditura assai più complessa.[2]

1.0                       Etimologia derivativa e significati

Sacerdozio è assumere il sacerdotium munus, l’officium flaminium da una singola divinità e dignità, ufficio di flàmine, presbyteratus; officium presbyteratus. E quindi la spiegazione viene dall’ idea di sacerdote sacerdos, e si spiega con le nozioni correlative di sacrificio e di mediatore:  proprie officium sacerdotis est esse mediatorem inter Deum et populum, in quantum scilicet divina populo tradit, unde dicitur sacerdos quasi sacra dans” (S.T. III, 22,1). In realtà, Gesù Cristo è il vero e unico Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza. Dunque il sacerdote, come dice il nome stesso, deve trasmettere al popolo le cose divine, le cose sacre, ossia la grazia e la verità di Dio: defert divina nobis e, inversamente, offrire nel culto divino, a nome del popolo, quelle cose che esso deve a Dio, ossia le preghiere e i sacrifici: defert nobis Deo (S.T. III, 26, 2). Duplice quindi è il suo compito: deve amministrare le cose sante (Sacramenti e dottrina) agli uomini, e deve offrire a Dio le cose sante (sacrifici e preghiere). Sotto quest’ultimo aspetto la funzione principale del sacerdote è il sacrificio. Sacrificium et sacerdotium ita Dei ordinazione coniuncta sunt, ut utrumque in omni lege extiterint (Conc. Trid.S.23, c.1; Denz.957)[3]. Gesù non parla espressamente della sua qualità di Sacerdote, ma ne esercita la funzione con la preghiera e il sacrificio durante tutta la sua vita e soprattutto con l’offerta di se stesso nella morte in Croce. Due volte parla chiaramente di sacrificio cultuale (Mt.20, 28; 26, 26-28; Mc.14, 22-24; Lc.22,19s; cfr. Gv.2, 19; 3; 16, 10, 17s; 12, 34; 17, 19).[4] Sacerdote (sacra dans) in senso proprio è un mediatore divinamente costituito, che offre a Dio un vero sacrificio in riconoscimento del suo supremo dominio e in espiazione delle colpe umane, procurando così agli uomini la pacificazione e l’amicizia di Dio. Sacerdozio e sacrificio sono correlativi e si trovano in ogni religione. Cristo è il Pontefice Santo, immacolato, che offrendo il sacrificio di se stesso sulla Croce una volta, ha operato per sempre la redenzione della umanità dal peccato. La ragione stessa vede che Cristo è veramente Sacerdote perché è perfetto Mediatore (via Mediazione) e ha offerto un vero sacrificio (via questa voce).[5] Il sacerdozio è intrinsecamente servizio perciò, per aiutare a superare le confusioni lamentate, dobbiamo anzitutto precisare i termini italiani servo, ministero e servizio, derivati dai Latini “servus”, “minister” e “ministerium”, a loro volta traduzione dei vocaboli greci concreti servo e schiavo e astratti servizio e schiavitù. Ora nello sforzo di precisare il senso di Gesù servo e dei relativi servizi ecclesiali, abbiamo esaminato quello inteso dai primi cristiani e più a monte da Gesù.[6] Inoltre, Cristo è Mediatore unico e perfetto. I vangeli e gli Atti degli Apostoli mai hanno riferito il termine <<mediatore>> a Cristo. Del resto esso è sconosciuto nella lingua ebraica e rabbino. La introdurrà nella dottrina cristiana la Chiesa primitiva, desumendolo dal greco, per ben definire la posizione di Cristo nel piano della Salvezza. Il termine viene usato in 1Tim 2,5 e nella Lettera agli Ebrei: 8,6; 9,15; 12,24. Il greco <<mesites>>, corrispondente al Latina <<mediatore>>, designa una persona che sta fra due stipulatori di un contratto allo scopo di unirli giuridicamente. Cristo non è una persona umana che fa da mediatore fra altre persone umane. Cristo è l’uomo-Dio che svolge una funzione di mediazione fra Dio e l’umanità intera. Ecco la posizione di Cristo nel piano della salvezza. A questa visione di Cristo nella Chiesa apostolica non è estranea tutta la varietà delle mediazioni vetero-testamentarie.[7] Dunque, Gesù Cristo è Sacerdote degno di fede - pistòs in greco - e misericordioso (Eb.2,17);  ...affinché offra doni e sacrifici per i peccati (Eb.5,1b); ministero sacrificale, specificandolo nel senso di espiazione. Adopera il vocabolario tecnico: dòron nei Settanta traduce spesso <<qorba, offerta>>; thysìa traduce zobah, <<sacrificio cruento>>, e minah <<oblazione>>.[8] Quindi, nelle dimensioni fondamentali della mediazione sacerdotale di Cristo vengono ripresi i due termini annunciati, come vedi sopra, in Eb.2,17: degno di fede e misericordioso. Questo vuol dire che:

a) il Sommo Sacerdote è degno di fede (pistòs) (Eb.3,1-6.

b) il Sommo Sacerdote è misericordioso, solidale con gli uomini (eleèmon) (Eb.4,15-5,10).

c) Cristo è un Sommo Sacerdote nuovo (Eb.7,1-28).

d) l’azione mediatrice è in favore degli uomini  (Eb.8,1-9,28).[9]



2.0                         Il sacerdozio nella Sacra Scrittura e come nuova alleanza

Il sacerdozio è un’istituzione antichissima, perché la preoccupazione dei rapporti con Dio si è manifestata sin dalle origini del genere umano come tratto fondamentale della vita spirituale dell’uomo e questa preoccupazione si è tradotta presto nella vita sociale con l’istituzione di sacerdoti, cioè di uomini specializzati per il culto divino. Il sacerdozio non è stata una invenzione della Bibbia, ma è più antico di essa. Possiamo dire che avvengono delle innovazioni sul modo di concepire il sacerdozio. Mentre l’AT sottolineava la necessità per il sacerdote, di mantenersi separato dagli altri, il NT insiste, al contrario, sulla necessità dell’unione fraterna del sacerdote con tutti i membri del popolo di Dio. L’AT si preoccupava anzitutto della relazione tra il sacerdote e Dio. Per questa ragione cercava di preservare il sacerdote da ogni contatto che potesse intaccare la sua consacrazione e toglierli quindi l’idoneità per il culto divino. Tutti erano convinti che per essere ammessi ad accostarsi alla tremenda santità di Dio, era indispensabile una speciale consacrazione o santificazione. Non essendo in grado di procurare una santificazione interna che raggiungesse la coscienza, l’AT proponeva e richiedeva una santificazione esterna, ottenuta per mezzo di separazioni rituali. Nel sacerdozio di Cristo, invece, l’insistenza sulla mediazione cambia completamente di prospettiva e la rinnova in modo radicale. Il concetto di santificazione per mezzo di riti di separazione viene eliminato, al suo posto subentra quello di santificazione per mezzo di un dinamismo di comunione, la cui manifestazione più intensa è proprio l’Eucaristia. Molto significativa in proposito è la frase della Lettera agli Ebrei in cui troviamo il primo accenno al sacerdozio di Cristo: l’autore vi afferma che , per diventare un sommo sacerdote, Cristo doveva rendersi in tutto simile ai fratelli (Eb.2,17). Il contesto fa capire che “in tutto” non si riferisce soltanto alla natura umana che Cristo ha preso nel mistero dell’Incarnazione, ma anche e soprattutto agli aspetti più penosi e umilianti della nostra esistenza: le prove, le sofferenze e la morte.[10] Nel’AT i sacerdoti erano degli uomini, nel Nuovo il sacerdote Gesù è Teantropo, Dio-uomo. Lì fungeva da mediatore un servo, qui il Figlio-Dio, il Verbo incarnato. Il sommo sacerdote veterotestamentario veniva consacrato con olio, cioè in modo tipologico. Cristo è consacrato in verità e non in figura, è pieno di Spirito Santo (cfr. Lc.4,18; Eb.9,14). La perfezione non è stata possibile per mezzo del sacerdozio levitico (cfr. Eb 7,11), poiché il suo culto era immagine ed ombra del culto celeste. La perfezione ci è giunta invece attraverso il sacerdozio di Cristo. Egli è divenuto causa di salvezza eterna (Eb.5,9) ed ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati (Eb.10,14).[11] Allora, le fonti bibliche sono  testimonianza di una cultura che prediligerà l’allusione alla citazione diretta, caratteristica letteraria che manifesta allo stesso tempo un costante riferimento alla tradizione e un suo continuo ripensamento sapienziale, quale lettura gradualmente più chiara della presenza operante di Dio nella storia del suo popolo. Essendo il rapporto tra Cristo e il sacerdozio il punto capitale della riflessione cristologica della Lettera agli Ebrei è ovvio che l’argomento si trovi sviluppato in tutte le parti del testo, non a modo di intuizioni sparse ma in forma di rigorosa, articolata e progressiva dimostrazione. Il tutto sullo fondo di una concezione di tale rapporto a tre livelli: somiglianza tra il sacerdozio di Cristo e quello vetero-testamentario, differenze e adempimento – superamento nell’attuazione escatologia della salvezza in Cristo mosso dallo Spirito.[12] Nel NT numerosi sono gli scritti che parlano del sangue di Cristo, mentre  del sacerdozio di Cristo solo l’epistola dagli Ebrei ne parla esplicitamente. Quale rapporto possiamo osservare tra i diversi accenni al Sangue di Cristo, da una parte, e la dottrina del sacerdozio di Cristo, dall’altra? Un rapporto stretto o lontano? Superficiale o profondo? La domanda non manca d’importanza, perché si tratta del ruolo di Cristo nella nostra relazione con Dio. Il sacerdozio infatti, riguarda i rapporti del popolo con Dio (Eb.5,1). Interrogarsi dunque sulla connessione tra sangue di Cristo nei nostri rapporti con Dio, dai quali ne siamo consapevole dipende tutta la nostra vita presente e futura.[13] Il tema del sacerdozio di Cristo è svolto nel Nuovo Testamento in maniera decisiva della Lettera agli Ebrei. Una cosa è importante e da ritenersi in modo particolare: Cristo nella Lettera è presentato non come sacerdote, ma come <<vero grande Sacerdote>>. Si dà per scontato che Cristo è sacerdote e si cerca di spiegare perché Egli realizzi in sé la perfezione del Sacerdozio, di qualunque sacerdozio, ecco perché Cristo è Sacerdote definitivo ed eterno. L’eccellenza del Sacerdozio di Cristo rispetto a qualunque altra forma trova in Eb.7,23-25 una seconda ragione con l’affermazione della sua eternità. Questa eternità sacerdotale e che si esplica in una lode continua al Padre a vantaggio di tutti noi, trova la sua radice definitiva nel fatto che l’unione ipostatica, da considerarsi come la consacrazione ontologica e dinamica di Cristo uomo, durerà per sempre, essendo un dono divino, al quale Cristo-uomo ha corrisposto con assoluta fedeltà.[14] Diciamo che la novità dell’oblazione sacerdotale di Cristo è il nuovo scopo dell’oblazione. Il modo spontaneo di intendere le oblazioni sacrificali consiste nel considerarle come regali offerti a Dio, a lui inviati per accattivarsi il suo favore. Il rapporto tra l’offerente e Dio viene concepito sul modello dei rapporti tra due persone umane o due gruppi umani che cercano di vivere in buona armonia. D’altra parte, egli non era soltanto vittima gradita a Dio, ma anche sacerdote capace di innalzare la vittima, perché accoglieva nel suo cuore tutta la forza della carità divina. L’oblazione sacerdotale di Cristo ha come risultato definitivo la sua attuale posizione di mediatore perfetto, dotato di insuperabili capacità di relazione. Negli eventi della passione e della glorificazione di Cristo questa duplice capacità è stata portata al culmine. Nel mistero pasquale di Cristo, reso presente nell’Eucaristia, le relazioni con Dio sono state condotte simultaneamente, l’una per mezzo dell’altra, alla loro perfezione. Questa via è Cristo stesso, sacerdote perfetto, che nell’Eucaristia mette a nostra disposizione le sue stupende capacità di relazione, acquisite a caro prezzo, affinché propaghiamo nel mondo la comunione nell’amore.[15]

3.0                         La natura e la realtà del Sacerdozio di Cristo

Cristo è veramente Sacerdote eterno perché la sua natura è intrinsecamente un sacrificio e una mediazione. La trascendenza ontologica dei poteri sacerdotali non è destinata a consumarsi staticamente nel sacerdote, che pur ne resta intimamente segnato, ma ad attuarsi nell’esercizio stesso dei poteri, perciò dal mistero dell’incarnazione si deduce, dunque, che il Cristo fu sacerdote in tanto in quanto fu uomo requisito da Dio per la gloria del suo nome, e perciò collocato in un singolarissimo rapporto di mediazione, come punto d’incontro tra l’amore misericordioso e giusto di Dio, incarnato in Cristo, e l’insopprimibile bisogno di salvezza dell’uomo. Dal mistero dell’incarnazione si deduce anche il carattere di vera e propria consacrazione del Cristo al ruolo sacerdotale.[16] Il Cristo è l’unto di Dio per il compimento del piano salvifico del Padre. La missione, pertanto, dinamizza la sua consacrazione e la specifica. Il singolare rapporto tra il verbo incarnato e la natura assunta è collegato, in prospettiva, con le finalità salvifiche dell’incarnazione, le quali fanno del Cristo l’apostolo per antonomasia, il messo di Dio. Teorizzando allora sulla base di codesti testi neotestamentari, si può asserire che la consacrazione sacerdotale è una configurazione al Cristo, una caratterizzazione ed assimilazione alla condizione messianica di lui, un suo prolungamento mediante la continuità dei suoi poteri sacerdotali, dalla investitura dei quali si è innestati (direbbe Rom.6,5) nella condizione sacerdotale del Verbo incarnato e resi, con lui e come lui, unti di Dio.[17] Cristo è sacerdote in forza dell’unione ipostatica, che lo costituisce Mediatore e vi si aggiunge, come elemento integrativo, la grazia santificante che è in Cristo come Uomo singolare e come Capo del Corpo mistico, e la designazione o vocazione da parte del Padre (cfr. Ebr.5). Il sacerdozio cattolico è partecipazione del Sacerdozio di Cristo, che è il vero e l’unico Sacerdote, vivente e operante in ogni suo ministro.[18] Dunque il sacerdozio è un’avventura perché implica un atto di Fede e la Fede, come ci ricorda il Cardinale Newman. Il sacerdozio richiede un impegno totale, un impegno di tutto l’uomo e dura per tutta la vita. Di fatto si può dire che duri per sempre, perché imprime un carattere nell’anima di un uomo. Non consiste in ciò che un uomo fa, ma in ciò che un uomo è e il fallimento è il fallimento di una vita. Un grosso rischio è il sacerdozio, una avventura, nella quale un uomo impegna non solo tutto quello che ha ma anche tutto ciò che è.[19] Unto di Dio e servo di Dio si congiungono, dunque, nella persona del Verbo incarnato per indicare ciò che s’intende per consacrazione e funzione sacerdotale. Su tale sfondo gioverà leggere  Presbyterorum Ordinis 2/a: “untio Spiritus Sanctus quo Domine Jesus untio est”, e passi paralleli. Ho detto che la consacrazione di Gesù consiste sopratutto nel mistero dell’unione ipostatica, la quale consacra ontologicamente la natura assunta nello stato di mediazione tra Dio e gli uomini, confermando al Verbo incarnato l’esse ad homines della mediazione discendente. Il Cristo, infine, è sacerdote perché, con la sua morte di croce, offrì al Padre un vero e perfetto sacrificio. Nella sua morte si riscontrano gli elementi costitutivi del sacrificio: l’offerta e l’immolazione di sé in espiazione dei peccati. Egli infatti si fece offerta e vittima, (Ef.5,2); vittima propiziatoria, (Rm.3,24); vittima per il peccato, (2Cor.5,21). I suoi atti inoltre, sono tipicamente sacerdotali: offre il sacrificio, prega, dispensa la grazia. Chi dunque presumesse di negare il sacerdozio declasserebbe il Cristo.[20] Che il Cristo sia sacerdote, non occorre dimostrarlo, trattandosi d’uno dei punti essenziali della Rivelazione cristiana. Già l’Antico Testamento attribuiva al futuro Messia prerogative sacerdotali; il testo più conosciuto, uno dei più misteriosi del salterio, faceva pronunciare a Dio questa promessa: Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedek (Sal.110,4).[21] A dire il vero, Cristo è il rappresentante (vicarius) del Padre e il suo preposto (antestes), e perciò stesso merita l’appellativo di sacerdote. Del pari lo Spirito Santo, che è anche egli inviato come pure preposto, riceve l’appellativo di sacerdote del Dio Altissimo; tuttavia non lo si chiama sommo sacerdote, come i nostri concittadini si permettono di fare durante l’Offerta, perché, per quanto Cristo e lo Spirito Santo siano di una medesima sostanza, si deve conservare tuttavia l’ordine proprio a ciascuno di essi. Non è l’Incarnazione, dunque, che conferisce a Cristo il sacerdozio; egli ha, sì, ricevuto un’unzione spirituale nel seno di Maria, ma, a quanto sembra, non si tratta che d’un’azione regale.[22] Crediamo di poter affermare che il sacerdozio di Gesù è l’unico vero sacerdozio, poiché egli solo ha potuto offrire, con la sua Passione e la sua Resurrezione, il vero sacrificio che riconcilia l’uomo con Dio, penetrando con la sua Umanità immolata e glorificata nel vero santuario dove risiede Dio. Per questo, bisogna ammettere che la Resurrezione (e l’Ascensione) cioè l’ingresso di Cristo, con la sua Umanità, nella vita gloriosa, ha un’importanza di primo piano in ogni studio del sacrificio e del sacerdozio di Cristo. Noi crediamo che la Resurrezione (con l’ascensione che ne è inseparabile), non solo costituisce il termine, il compimento del sacrificio di Gesù, ma segna anche l’ultimo compimento d’un progresso del suo sacerdozio.[23]

1Pt.2,9 e 5 definisce la natura del sacerdozio attraverso un duplice compito e servizio: testimonianza e sacrificio, o, più in generale, parola e culto. Ambedue questi compiti del servizio sacerdotale hanno in comune la funzione di mediazione (Mediatore). Nella parola la mediazione si compie andando da Dio sul mondo, mentre nel sacrificio si va dal mondo verso Dio. I sacerdoti sono mediatori tra Dio e gli uomini. Dal momento che nella Sacra Scrittura la parola non è sterile ma opera quanto dice (Parola), con essa i sacerdoti è legato tutto quanto il culto (la lode a Dio, la quale è stata ulteriormente perfezionata dopo l’esilio).[24] Gesù pose termine al culto ebraico dopo averlo portato a compimento con la sua pratica ed averlo superato col suo sacerdozio ed il suo sacrificio. Personalmente Gesù non si attribuisce mai il titolo di sacerdote, però egli definisce la sua missione servendosi di termini sacerdotali mutati dall’Antico Testamento. Parlando infatti della sua morte, Egli la paragona ora al sacrificio espiatorio del servo di Jahweh (Mc.10,45; 14,24; cfr. Is.53); ora al sacrificio di alleanza di Mosè ai piedi del Sinai (Mc.14,24; cfr.Es.12,7.13.22). Da questa morte Egli attende l’espiazione dei peccati, l’instaurazione della nuova alleanza, la salvezza del suo popolo (1Cor.5,7; Fil.2,6-11; Rom.3,24-25; 1Cor.10,16-22; Rom,5,9; Col.1,20; Ef.1,7; 2,13). Per Paolo la morte di Gesù è il sacrificio per eccellenza, che Egli ha offerto in qualità di sacerdote. Tuttavia, solo la lettera agli Ebrei svolge ampiamente il sacerdozio di Cristo (Eb.9,1-14,18-24,28). Tutto l’accento della lettera è però posto sulla funzione personale di Gesù nell’offerta di questo sacrificio. Questo sacerdozio ha radici nel suo stesso essere teandrico: come vero uomo che condivide la nostra povertà sino alla tentazione (Eb.2,8; 4,15) e, nello stesso tempo, come vero Dio (Eb.1,1-13). Egli è il sacerdote unico ed eterno. Pure unico è il sacrificio da Lui compiuto una volta per sempre nel tempo (Eb.7,27; 9,12-28; 10,10-14).[25]

Concludiamo col rilievo che, ritenendo come elemento costitutivo ed essenziale del sacrificio l’attuale immolazione della vittima, potrebbe trovarsi inconciliabile l’idea di sacrificio con lo stato glorioso e impassibile di Cristo in cielo. Ma se elemento costitutivo del sacrificio si considera l’offerta (oblatio) della vittima da immolare o già immolata, l’obiezione cade. Chi volesse argomentare contro l’unità del sacrificio di Cristo, così energicamente sottolineata dalla Lettera agli Ebrei, dovrebbe pensare che anche la Messa rinnova misticamente l’immolazione cruenta del calvario senza contraddire a detta unicità. Tanto più che a guardare le cose un po’ a fondo, il sacrificio celeste, piuttosto che in una rinnovazione, consiste nel permanere della volontà per cui Cristo si è già immolato sulla croce, nel permanere di quella umanità Santissima in cui egli ha potuto immolarsi. A questo modo egli offre incessantemente al Padre il prezzo del nostro riscatto: Vulnera suscepta pro nobis – scrive S.Ambrogio – coelo inferre maliut, abolere colui, ut Deo Patris nostrae pretia libertatis ostenderet. Ed è lui il vero Pontefice presente e offerente in ogni mistica rinnovazione del sacrificio della croce, che si compie nella Chiesa terrena.[26]

4.0                         Il sacerdozio di Cristo: una vocazione e la missione di servizio nel comunità

Gesù sacerdote della nuova alleanza si rivela che, e si è detto pure che questa è una linea tradizionale: il sacerdozio cristiano non è così qualificato soltanto perché è al servizio della comunità cristiana, né soltanto perché ad essa il sacerdote si presenta nomine et in Christi, ma perché l’aggettivo ne esprime, anzitutto e soprattutto, l’origine dal Cristo.[27] Fondamenti del sommo sacerdozio di Cristo sono il piano eterno di Dio, l’unione di solidarietà con l’umanità grazie alla natura umana di Cristo, la vocazione da parte di Dio e la proclamazione a sommo sacerdote. Il disegno eterno di Dio si è manifestato attraverso la figura di Melchisedec così come  è stata abbozzata da Gen.14 e dal Salmo 110. Dunque, la grandezza del sommo sacerdozio di Cristo rivela la sua superiorità sul sacerdozio levitico e su qualsiasi sacerdozio terreno. Col sacerdozio di Cristo Dio dà inizio ad un nuovo ordine cultuale (Eb.4,8; 7,11.28); il suo è un sacerdozio che si illumina della perfezione del tempo finale e nell’escatologia Cristo è sommo sacerdote regale; suo tipo è il sacerdote-re Melchisedec (Eb.7,1).[28] Il sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedek non è solo oggetto di confessione (omologhìa), ma anche di testimonianza (martyrìa). Si testimonia che Cristo è un nuovo sacerdote, il quale crea un nuovo rapporto tra gli uomini e Dio, come pure un uomo nuovo. Il Sacerdozio di Cristo è sacerdozio di libertà e amore. Ciò che nel passato era soltanto tradotto o significato (Eb.7,2) è ora divenuto realtà. Cristo è colui che offre, colui che è offerto e colui che riceve. Ciò significa che egli è il Sacerdote di quella liturgia nella quale egli stesso è nel contempo, vittima e sacrificatore. L’opera soteriologica del Verbo incarnato è effetto e conseguenza della sua ipostasi teantropica. Opera del sacerdozio è la salvezza del mondo. Al di fuori del suo sacerdozio non esiste espiazione, poiché questo Dio-uomo e sacerdote e redentore in quanto perfetto liturgico. La spazio del ministero di Gesù è il cielo e non la terra. Con il suo ingresso in cielo e la sessione alla destra di Dio Padre (Eb.8,1-2), si manifesta la vita divina ed eterna nella natura umana. Per vivere eternamente, l’uomo deve accettare come dono di Dio quello che per lui ha fatto Cristo, il sommo sacerdote grande ed eterno.[29]

Per quanto riguarda la missione salvifica di Gesù Cristo, Egli dunque viene consacrato dal Padre nella sua umanità mediante l’unzione dello Spirito e mandato in vista del compimento di un ministero o di una missione salvifica. Tale missione è unica e indivisibile. Non vi sono parole o concetti umani che la possano esprimere in modo adeguato nella sua totalità, neppure la nota trilogia di profeta, sacerdote e re, applicata a Cristo, sebbene ne sottolinei alcuni aspetti.[30] Dunque, il posto e il ruolo del sacerdozio ministeriale, affidato al clero della Chiesa, devono essere compresi partendo da ciò. Questo sacerdozio è sacramentale, cioè costituisce la manifestazione visibile dell’intervento mediatore di Cristo nella vita dei cristiani. Senza il ministero dei vescovi e dei sacerdoti, non si potrebbe effettuare concretamente la congiunzione tra la vita reale dei cristiani e l’esistenza di Cristo. Tutto resterebbe in preda al soggettivismo, che certamente è rifiuto della mediazione, perciò il ministero sacerdote è indispensabile. È per mezzo di esso che Cristo manifesta oggettivamente la sua presenza ed azione nella Chiesa e che unisce i credenti al suo sacrificio.[31] Veramente nel servizio missionario, il sacerdozio di Cristo dev’essere descritto sullo sfondo del concetto biblico di alleanza, che anticipa quello di incarnazione e di mediazione che ne sono una specificazione, perché Cristo oltre ad essere un operatore di alleanza, è l’alleanza stessa. Allora, il Sacerdozio di Cristo dovrà essere letto nella prospettiva della funzione antropologica dell’alleanza. L’essere e la funzione Sacerdotale di Cristo sono in rapporto alla realizzazione della vicendevole e totale accettazione di Dio e dell’uomo. Si deve prendere atto che la teorizzazione del Sacerdozio di Cristo ha risentito, forse più di ogni altro settore della cristologia, dei limiti di una riflessione teologica che ha saputo legger ben poco in termine economici il mistero dell’incarnazione.[32] Sacerdozio di Cristo e missione apostolica sono le due coordinate che definiscono il sacerdozio dei presbiteri. E quindi due coordinate sembrano definire il sacerdozio dei presbiteri nei documenti del concilio: da una parte, la partecipazione al sacerdozio eterno di Cristo; dall’altra la partecipazione alla missione apostolica trasmessa ai vescovi. Da questo si descrive l’Ecclesialità derivante dalla partecipazione al sacerdozio di Cristo in tre parti:

a) Partecipazione, specifica e diversa, al servizio del sacerdozio comune dei fedeli. b) partecipazione immediata al sacerdozio di Cristo e non derivazione da quello dei vescovi.

c) Fondamento eucaristico dell’ecclesialità del presbitero.[33]

Dunque, i ministeri o servizi nelle prime Comunità cristiane sono stati modellati su Cristo servo. A noi è risultato che Gesù, figlio della comunità o chiesa ebraica, aveva una doppia cerchia di discepoli: coloro che imparano, ossia scolari, a seguirlo sullo stile dei profeti per collaborare alla predicazione evangelica, e gli amici o simpatizzanti.[34] Gesù è il servo, modello di servizio ai suoi discepoli. Riguarda il sacerdozio di Cristo come una vocazione e la missione di servizio nel comunità, la liturgia celeste si svolge nel tempio del cielo ed è celebrata per onorare le Persone Divine. Si legge nell’Apocalisse: I quattro viventi…senza posa, giorno e notte, dicono: Santo, santo, santo è il Signore Dio, l’Onnipotente, colui che fu, che è e che viene…E getteranno le loro corone davanti al trono dicendo: Degno sei tu, O Signore Dio nostro, di ricevere gloria, onore e potenza, perché tu hai creato tutte le cose e per tua volontà erano e furono create (Ap. 4,6-11). Si può pensare che Nostro Signore, sulla base del valore infinito dei suoi meriti acquisiti sul Calvario, con la dignità di Redentore del genere umano, fa valere davanti all’Augusta Trinità, i suoi diritti a favore di tutte le anime, così si spiega anche perché la Chiesa non dice mai a Gesù di pregare per noi ma Signore abbi pietà di noi, perché ella sa quanto valga la domanda di Cristo a favore dei suoi fedeli. Pertanto Gesù Cristo è Sacerdote per tutta l’eternità: a) quo ad dignitatem, perché la sua indole sacerdotale, basata sull’Unione Ipostatica, dura per sempre; b) quo ad effectum, perché gli effetti del suo sacerdozio durano in eterno nella grazia e nella gloria ottenuta dagli eletti S.T. III, q.22, a.5 nel ad 2; c) quo ad affectum, perché l’interiore disposizione di onorare il Padre con gli atti del suo sacerdozio è perennemente presente e attuale nel Cuore di Gesù, che in eterno offre, in odore di soavità, la sua adorazione e il suo ringraziamento alla Santissima Trinità, insieme a tutto il creato.[35]



5.0                         L’insegnamento del Concilio

Molti testi conciliari alludono ai titoli cristologici di maestro, sacerdote e re. Di solito si enumerano questi tre, specialmente quando si parla della partecipazione alla missione di Cristo o della configurazione a Lui. Si cerca di evitare, tuttavia, una rigida applicazione della distinzione in tre funzioni che nel caso del sacerdozio ministeriale si possono esercitare separatamente. È quanto osservano anche alcuni commentatori del Concilio. Perciò i documenti non sempre ricalcano in modo esatto l’espressione tradizionale funzione profetica, sacerdotale e regale. Non sembra però che questo sia un puro caso. Mettendo insieme tutti testi dove si fa riferimento alla triplice funzione è facile osservare una regolarità.[36] Tenendo presente questa dottrina generale, non è difficile trovare una applicazione di essa al caso di Cristo. Egli infatti è mediatore perché unisce gli uomini a Dio con una riconciliazione che ha operato nella sua passione, morte e risurrezione. Vogliamo dire che soprattutto con questi atti supremi, quali sono la passione e la risurrezione, Cristo ha effettivamente e definitivamente perfezionato se stesso come mediatore, pur essendo già consacrato tale sin dal momento del suo concepimento. È come uomo che Cristo è mediatore. La sua natura umana è una natura creata, distinta dalla natura divina. D’altra parte, in questa stessa natura umana, Cristo ha una pienezza di grazia, cosicchè Cristo unisce gli uomini a Dio trasmettendo la dottrina e i doni di Dio, soddisfacendo e pregando in favore degli uomini presso Dio. In questa natura umana superdignificata dalla grazia divina, S. Tommaso trova il mezzo capace di congiungere Dio e l’umanità, rispettando il passo di S. Paolo che parla di Cristo mediatore in quanto uomo. Dunque, Cristo è mediatore perfettismo. Ecco, benchè Cristo abbia unito gli uomini a Dio nell’attività della sua umanità, la sua mediazione è perfettissima, riconciliato Dio con l’umanità.[37] Inoltre, dall’analisi delle affermazioni della costituzione Lumen Gentium, risulta che la triplice funzione esprime la funzione svolta da Cristo in qualità di sommo ed eterno sacerdote, risulta cioè che il termine “sacerdote” nel “sommo ed eterno sacerdote” comprende i tre titoli di maestro, sacerdote e re. Il termine usato, invece, nel “trittico” dei titoli, ha significato cultuale. Così la Lumen gentium impiega il termine sacerdote, a quanto pare, nel duplice significato, per esprimere l’intima umani che esiste tra ciò che può essere definito come i tre aspetti del sacerdozio di Cristo, partecipato da tutta la Chiesa.[38] Dunque, è importante, in tale prospettiva ricordare che il sacerdozio ministeriale fiorisce, se si può dire, sul terreno del sacerdozio comune ed è tutto, interamente a servizio della più perfetta manifestazione di esso: il culto e verità. Poste queste premesse, il documento passa, un po’ rapidamente alla affermazione che Christianum ergo sacerdotium est sacramentalis indolis. Forse questa stretta consequenzialità è un po’ forzata, ma checchè ne sia delle parole, la dottrina che si accinge ad esporre la dichiarazione è molto chiara: è indubbio che, nell’esercizio del suo ministero, il sacerdote rappresenti Cristo. Allora, per realizzare questo bene della Chiesa, al quale è ordinato il sacerdozio ministeriale, Cristo mediante l’ordinazione, rende il sacerdote partecipe della propria causalità strumentale ed è infallibile nella celebrazione dei sacramenti di cui il sacerdote è ministro (a patto che egli abbia l’intenzione requisita). E quindi, Cristo ha come fine che Dio sia glorificato e la glorificazione di Dio passa per la salvezza degli uomini: Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi desti da fare, dice Gesù (Gv.17,4). Anche il sacerdote ha lo stesso fine che Dio sia glorificato mediante la salvezza degli uomini e a ciò tende tutto il suo ministero.[39]

Conclusione

Possiamo dire innanzitutto che il sacerdozio di Cristo è essenzialmente una mediazione; troviamo, cioè, tanto nella sua persona quanto nell’esercizio del suo sacerdozio, l’unione tra due estremi - Dio da una parte, gli uomini dall’altra – che finora erano separati e senza possibilità di comunione. L’aspetto centrale di questa mediazione è il sacrificio. La riconciliazione degli uomini con Dio – scopo della mediazione – si fa attraverso l’offerta a Dio di un sacrificio. Certamente ci sono anche altri aspetti mediatori, ma il sacrificio resta sempre l’atto centrale verso cui sono ordinati tutti gli altri atti sacerdotali. Il sacrificio di Cristo, compiuto sulla croce, è unico e non ha bisogno di altri sacrifici. Sebbene la sua mediazione continui ad essere esercitata, il suo sacrifico è storicamente compiuto una volta per sempre.[40] Dunque, come il mistero e sacramento del servizio della comunità, il Sacerdozio  di Cristo si comunica alla Chiesa attraverso i poteri cultuali diffusi in tutto il popolo ecclesiale in modo organico e articolato dai caratteri sacramentali. Secondo la logica dell’incarnazione, nella dinamica della economia sacramentale, una partecipazione comunitaria e insieme gerarchica alla potestas di Cristo consente a tutta la Chiesa di realizzarsi come popolo sacerdotale, proprio mentre in essa alcuni sono scelti ad esercitare in nome, per autorità e in rappresentanza di Cristo, in maniera attiva e pubblica, l’unica ed eterna missione sacerdotale di Cristo.[41] Da quanto si è detto traspare che il sommo sacerdote è Cristo stesso riconosciuto, senza confusione, in due nature. La sua incarnazione costituisce una nuova realtà ontologica, un’unione sostanziale e vera di Dio e dell’uomo. Nella persona del Verbo incarnato il sacerdozio si è manifestato come pienezza della divinità in un corpo (cfr. Col.2,9). Il mistero di un solo sacerdote è il mistero di un solo Cristo, di un solo Dio-uomo. C’è un solo sacerdote perché uno solo è il corpo della Chiesa. Per la Lettera agli Ebrei, sacerdote è il Signore Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio. Negare la vera natura umana di Cristo significherebbe negare la salvezza. L’incarnazione del Verbo di Dio costituisce il fondamento del mistero del sacerdozio di Cristo. Il sacerdozio è inscindibilmente congiunto con l’incarnazione, è la stessa incarnazione del Verbo come assunzione della vita divina da parte della natura umana, come divinizzazione. La sua natura umana è il presupposto del suo sacerdozio. Il vero sacerdote è pienamente deificato e perfetto: Dio-uomo. Né prima né dopo di Lui si può parlare di vero sacerdote si può solo far riferimento a lui come sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedek. Perché, tuttavia, secondo l’ordine di Melchisedek? Per mettere in particolare rilievo il mistero della persona teantropica di Cristo. “Secondo l’ordine di Melchisedek” si rivela Dio nella carne, si rivela il mistero della salvezza del genere umano. La salvezza giunge a noi secondo l’ordine di Melchisedek e non secondo quello di Aronne. Secondo un ordine spirituale e non carnale. L’uomo non si salva con le sue forze, ma con l’aiuto della grazia di Dio, per la potenza di una vita eterna.[42]





[1] VANHOYE, A., Il Sacerdozio di Cristo e il nostro sacerdozio in MARTINI, C.M.,-VANHOYE, A., Bibbia e vocazione, Morcellina, Brescia 1983, p. 151.
[2] TEODORICO DA CASTEL SAN PIETRO, “Il sacerdozio celeste di Cristo nella lettera agli ebrei” in Gregorianum 39(1958), pp.319-320.
[3] BARTMANN, B., Teologia dogmatica Vol. II, a cura di Natale Bussi, Edizioni Paoline, Alba 1950, pp. 129-130.
[4] Ibidem, p. 131.
[5] PARENTE, P-PIOLANTI, A., Dizionario di Teologia dogmatica per laici, Editrice Studium, Roma 1943, p. 208.
[6] LEONARDI, G., “Cristo il servo: modello dei ministeri-servizi nella chiesa.Una sguardo alle prime comunità cristiane per un rinnovamento nel terzo millennio” in Studia Patavina 45(1998), p. 580.
[7] BIAGI, R., Cristo Profeta, Sacerdote e Re. Dottrina di S.Tommaso e Sviluppi della teologia moderna, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1988, p. 25.
[8] VANHOYE, A., Il Sacerdozio di Cristo e il nostro sacerdozio in MARTINI, C.M.,-VANHOYE, A., Bibbia e vocazione, pp. 172-197.
[9] CARIDEO, A., “Il culto nuovo di Cristo e dei cristiani come sacramentale. Linee di riflessione dal Nuovo Testamento” in Rivista Liturgica 69 (1982), pp. 318-322.
[10] VANHOYE, A., “La novità del Sacerdozio di Cristo” in La Civiltà cattolica 1(1998), pp. 16-20.
[11] TOMASOVIC, M., Melchisedek e il sacerdozio di Cristo. Saggio di Teologia Biblica, Edizioni Messaggero, Padova 1993, pp. 199-200.
[12] CARIDEO, A., “Il culto nuovo di Cristo e dei cristiani come sacramentale. Linee di riflessione dal Nuovo Testamento”, pp. 311-317.
[13] VANHOYE, A., Sangue e Sacerdozio di Cristo nel Nuovo Testamento in VATTIONI, F., (a cura) Sangue e antropologia nella liturgia Vol. II, Pia unzione  Preziosissimo Sangue, Roma 1984, p. 823.
[14] BIAGI, R., Cristo Profeta, Sacerdote e Re. Dottrina di S.Tommaso e Sviluppi della teologia moderna, pp. 75-83.
[15] VANHOYE, A., “La novità del Sacerdozio di Cristo” in La Civiltà cattolica 1(1998), pp. 21-27.
[16] GHERARDINI, B., “Origine e trasmissione del sacerdozio ministeriale” in Il prete per gli uomini di oggi  a cura di   CONCETTI, G., An Veritas Editrice SpA, Roma 1975, pp. 257-260.
[17] Ibidem, p. 265.
[18] PARENTE, P-PIOLANTI, A., pp. 208-209.
[19]SCOTT-JAMES, B., “L’ideale del Sacerdozio” in  AA.VV, Il  Sacerdozio Ministeriale  Natura, funzione, Missione, M.D’Auria Editore Pontifico, Napoli 1970, p. 201.
[20]  GHERARDINI, B., “Origine e trasmissione del sacerdozio ministeriale” in CONCETTI, G., pp. 261-262.
[21] LECUYER, J., Il sacerdozio di Cristo e della Chiesa, Edizioni Dehoniane, Bologna  1964, p. 9.
[22] Ibidem, p. 62.
[23] Ibidem, pp. 18-20.
[24] STOGER, A., “Sacerdote (Sacerdozio)” nel  Dizionario di Teologia Biblica a cura di LUIGI BALLARINI, Morcellina, Brescia 1965, pp. 1263-1264.
[25] ROLLA, A., “Il sacerdozio ministeriale nella Bibbia” in AA. VV, p. 6.
[26] TEODORICO DA CASTEL SAN PIETRO, “Il sacerdozio celeste di Cristo nella lettera agli ebrei” in Gregorianum 39(1958), p. 334.
[27] GHERARDINI, B.,  Origine e trasmissione del sacerdozio ministeriale” in CONCETTI, G., pp. 256-257.
[28] STOGER, A., “Sacerdote (Sacerdozio)” nel  Dizionario di Teologia Biblica, pp. 1269-1271.
[29] TOMASOVIC, M., Melchisedek e il sacerdozio di Cristo. Saggio di Teologia Biblica, pp. 205-206.
[30] FAVELI, A., Il Ministero Presbiterale:  Aspetti dottrina Pastorali Spirituali, Libreria Ateneo Salesiano, Roma 1989, p. 17.
[31] VANHOYE, A., Cristo è il nostro sacerdote: La dottrina dell’epistola agli ebrei, Marietti, Genova 1970, pp. 56-57.
[32] RUFFINI, E., “Costituzione e missione del sacerdozio ministeriale” in CONCETTI, G., p. 300.
[33] MIRALLES, A., “Pascete il Gregge di Dio” sul ministero ordinato, Edizioni Università della Santa Croce, Roma 2002, p. 159.
[34] Studia Patavina 45(1998), pp. 582-583.
[35] PIOLANTI, A., “La liturgia Celeste e perennità del Sacerdozio di Cristo” in Divinitas 39 (1995), pp. 274-281.
[36] SZCZUREK, J., La cristologia nella prospettiva sacerdotale secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, Dissertazioni Pontificia Universitas Gregorianum, Romae 1989, p. 192.
[37] BIAGI, R., Cristo Profeta, Sacerdote e Re. Dottrina di S.Tommaso e Sviluppi della teologia moderna, p.26.
[38] SZCZUREK, J., La cristologia nella prospettiva sacerdotale secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, p. 199.
[39] OLS, D., “Dimensione cristologica del sacerdozio ordinato” in Sacrum Mysterium 5 ()1999), pp. 24-39.
[40] GOYRET, P., Chiamata, Consacrata, Inviati: Il sacramento dell’ Ordine, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2003, p. 35.
[41] MILANO, A., “Il sacerdozio nella Ecclesiologia di San Tommaso D’Aquino” in AA. VV, p. 106.
[42] TOMASOVIC, M., Melchisedek e il sacerdozio di Cristo. Saggio di Teologia Biblica, pp. 150-151.